lunedì 28 maggio 2007

Sul valore segnico di un gesto in luogo di tante parole


Se mai dovessi parlare di amore e di stelle... uccidetemi.
(Charles Bukowski)


I gesti sono più comunicativi delle parole.
Hanno una radice più istintiva, radicata nel DNA, nei nostri geni, nella nostra cultura, e sono più impressionanti. Le parole no: salvo rari casi di magistrale padronanza linguistica, più vicina alla bravura di un grande pianista che a quella di uno scrittore decorato di alloro - e parlo anche di gente che non usa le parole per mestiere, per quanto questo sia possibile da concepire -, le parole sono meno efficaci dei gesti, richiedono un metabolismo più lungo per poterne assimilare il senso e le sensazioni.
Usare un gesto in luogo di molte parole aiuta a fugare una grossa percentuale, vicina alla totalità, dei rischi in cui sarebbe possibile incorrere: confusione, incomprensione, equivoco, disturbi ed errori di codificazione stessa del messaggio.
Tutto questo, però, solo in certe particolari situazioni, perché molto dipende anche da chi sia il destinatario del messaggio, dal modo in cui è abituato a reagire se si trova a scontrarsi con un gesto giudicato poco prevedibile, e dalla pregnanza del gesto.
Il gesto è un messaggio estremamente potente, e penso sia il caso di usarlo soltanto per concentrare una massa deforme ed estesa e omogeneamente slegata di parole, oppure, al contrario, per sdrammatizzarne il senso stesso, in caso di scarsa pregnanza; anche se, sul secondo caso, ammetto di nutrire dei dubbi.
Nella fattispecie - voglio dire: entrando in questioni più pratiche, esemplificative -, se si vuol usare un gesto in luogo di troppe parole nel dichiararsi a una donna, e, ancor più chiaramente, se il gesto è un bacio, è bene meditare se costei comprenda il senso del gesto. Non che ne condivida il messaggio (in tal caso potrebbe reagire con un gesto di uguale potenza, quale un ceffone), ma che condivida, o quanto meno capisca che la scelta di un bacio al posto di tante parole è dovuta a una romantica preferenza per la pregnanza, e che comunque il bacio non esclude che in seguito si possa prevedere una definizione più accurata del messaggio mediante l'uso di alcune parole, magari ben selezionate, o magari no, ma in ogni caso più efficaci in quanto espresse in relazione decisamente non equivocabile al bacio che le ha precedute.
Tuttavia è solo un'idea, e lo spazio è finito. Ciao.

(Scritto giovedì in treno sulle ultime pagine del bloc-notes)


Ovviamente dovete avere qualcosa da dire, altrimenti siete dei bastardi e non ci sono cazzi.

domenica 27 maggio 2007

Saluti

Bene, fra una decina di minuti si parte; si torna a Lecce per seguire le ultime lezioni (finalmente).
Quindi lascio il blog (per ora) alla corretta gestione degli altri degni associati, e sono sicuro che se la caveranno benissimo.
Intanto mi hanno chiamato, quindi adios amigos

sabato 26 maggio 2007

Parole, parole, parole...

E dalla luoghizzazione dei non luoghi passo ad un altro tema interessante: lo svuotamento di contenuto di termini ormai troppo inflazionati. Inizierei "alla grande" con la mia parola preferita: partito, spesso accompagnata dall'aggettivo politico. Beh, riprendendo il caro (?) Wilde, il partito mi sembra essere lontanissimo da qualsiasi parentela con la politica, la quale dovrebbe riguardare tutto ciò che ricade nella quotidianità di un normale cittadino (dall'acquisto di un kg di pane alla distanza da percorrere per disfarsi dei rifiuti in modo retto e coscienzioso).
Ma passiamo ad altro; chi di voi fruitori di telegiornali non ha mai sentito parlare di: sviluppo sostenibile e sinergie? Lo sviluppo sostenibile dovrebbe essere la capacità di utilizzare le risorse a disposizione senza compromettere la possibilità futura di usufruirne....beh, non mi sembra di essere a buon punto, allora, se già adesso i 4/5 dell'umanità vive in condizioni non proprio invidiabili; a meno che non si tratti dello sviluppo di chi è già "sviluppato" sostenuto da chi già "sostiene".
Sinergia, che bella parola, mi sembra proprio uno di quei termini utili per fare bella figura in una conversazione; peccato che non significhi proprio niente. "Agire in sinergia per aumentare la competitività...", cioè uniamoci sulla base di presunti interessi comuni per distruggere altri che la pensano come noi, ma solo in un altro posto. E perché non "agiamo in sinergia" anche con questi e magari con tutto il mondo , sicché non c'è neanche bisogno di essere competitivi?. Ma questo è un'altro discorso.
Se ci sono importanti mancanze in questa menata, gradirei mi fosse fatto presente, basta che non vi riferiate a qualcosa del genere "amore" o "emozione" e affini.

venerdì 25 maggio 2007

Non importa che tu sia Hemingway o Frank Miller o un imbianchino, se sei in treno e hai un bloc-notes e una penna nera


Ok, siamo in un'area di(s)servizio, che poi è uno di quei luoghi che uno che ha studiato semiotica chiamerebbe non-luoghi, e siamo in un blog, un luogo d'incontro virtuale, forse più luogo di un'area di servizio, ma di fatto un non-luogo nel senso materiale del termine. E siamo qui per scrivere, quindi scriviamo. Oggi scrivo sullo scrivere e soprattutto sulla luoghizzazione dei non luoghi: è possibile, rendendoli umani. Uno dei miei non-luoghi preferiti è il treno; è uno dei miei preferiti - forse il mio preferito - solo a posteriori, col senno di poi, perché è un non-luogo che non frequenterò mai più - ok, è falso: volevo dire che non lo frequenterò più regolarmente come nei tre anni di università, e comunque il mai più si riferisce solo ai prossimi mesi, nei quali prenderò il treno a intervalli più rarefatti e irregolari -; è un non-luogo che ho odiato a lungo perché legato, nel mio immaginario, ad idee dolorose come la sveglia antelucana e le lezioni più noiose e i laboratori più inutili e i soldi del biglietto che non corrispondono al valore del servizio offerto e a incontri con persone sgradevoli, però è anche legato a momenti divertenti e a persone interessanti e a letture che ti segnano e ai tanti modi di impiegare il tempo del viaggio.

Uno dei modi - il migliore - è prendere il fedele bloc-notes e la fedele penna nera e scrivere o disegnare qualcosa. In treno ho scritto un sacco di cose interessanti, tra cui le ultime negli scorsi giorni: due lettere (una in parte e una intera), vari improponibili flussi di coscienza, una poesia intitolata La grottesca burla della metasemiosi è un dramma universale e un trattato filosofico che ho chiamato Sul valore segnico di un gesto in luogo di tante parole. Le ultime due cose le ho scritte ieri, durante il mio ultimo viaggio universitario in un giorno non coincidente con le date d'esame o con occasioni legate ad esami - prenotazione o acquisto di libri; iscrizione/prenotazione sulla lista degli esami/imbucamento di statini/altre meno frequenti burocratiche formalità necessarie per poter sostenere un esame - e le ho scritte sulle ultime pagine del mio bloc-notes (mentre scrivevo ho pensato che fosse una curiosa coincidenza), con una penna che mi sono fatto prestare da una ragazza che era seduta di fronte a me, perché la mia era finita (anche la penna: sarà una coincidenza, ma poteva resistere almeno un'altra mezz'oretta!); gliel'ho chiesta usando la formula "Scusa, avresti una penna? Ne ho bisogno", e mi ha guardato strano ma non me ne sono curato troppo: ero concentrato a preoccuparmi del colore della penna, che era blu elettrico, e avevo paura di iniziare a usarla; poi mi sono fatto coraggio e l'ho poggiata sul foglio e non immaginate il sollievo quando ho visto che scriveva nero nonostante il colore palesemente blu della plastica che stavo impugnando - sono fissato per questa cosa delle penne nere: se posso evitare le penne blu, le evito.

Se siete pendolari, provate anche voi. Scrivete, disegnate, descrivete o ritraete la gente seduta attorno a voi, create storie e inventate creature o lasciatevi andare al caos dei vostri pensieri e delle forme geometriche. Scrivere in treno è divertente, in certi casi aiuta a capirsi meglio e a capire meglio il luogo che potrebbe essere il treno se non lo usassimo tutti come un non-luogo, è un ottimo esercizio di scrittura e aiuta a far passare velocemente un viaggio che altrimenti potrebbe diventare una lunga, noiosa tortura quotidiana.
Ehm...allora..questa dovrebbe essere la presentazione di un nuovo blog (il mio primo,tra l'altro) gestito in comune da Raffo, il sottoscritto, Killian e Jaba. Vorrei iniziare cercando di spiegare il nome del blog. Innanzitutto è una derivazione concettuale da queste ,diciamo, oasi del deserto (autostradale) che sono, appunto, le aree di servizio: un posto ove ci si dovrebbe ristorare, trovare un po' di sollievo; e la parola "servizio", infatti, starebbe a indicare la disponibiltà a mettersi alle dipendenze altrui.
E qui si passa al secondo significato, incentrato sul concetto di "disservizio", cioè di cattivo funzionamento. Ecco, questo perchè non abbiamo alcuna intenzione di metterci alle dipendenze del prossimo (conoscendo anche l'indole dei 3 componenti).
E' una trattazione un pò sintetica, ma al momento non mi viene altro da aggiungere; tra l'altro sono un pò stanco e quindi credo proprio che il post si chiuderà qui.